Superare la dimensione fisica della malattia

  • Università degli Studi di Milano - Photo by Vaclav Sedy

Superare la dimensione fisica della malattia

Superare la dimensione fisica della malattia

La necessità del superamento della centralità della dimensione fisica della malattia, alla quale deve venire affiancata la sfera emotiva, mentale e spirituale dell’individuo, è cosa ormai nota. Le scienze psicologiche collocano al centro di questo schema l’empowerment, che in medicina costituisce uno strumento e al tempo stesso un fine della promozione della salute: un processo il cui obiettivo è quello di potenziare le risorse personali psico-sociali del paziente nella gestione della malattia e del proprio percorso di cura, agendo su più livelli: il paziente, la famiglia, il medico, la società.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato più volte che la promozione dell’empowerment del paziente è un pre-requisito per la salute, mentre l’attuale Programma di azione comunitaria in materia di salute pubblica dichiara che la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali rappresenta uno dei valori fondamentali su cui si basa la strategia comunitaria. Anche il Piano Sanitario Nazionale Italiano ha introdotto il termine empowerment nei recenti documenti mirati alla pianificazione delle nuove strategie sanitarie.

Se sull’efficacia dell’empowerment la letteratura scientifica, e la clinica, è unanime, prerequisito fondamentale perché possa funzionare, diventando una risorsa positiva nel percorso di cura di qualsiasi paziente e di qualsiasi malattia è l’adeguatezza del contesto in cui tale processo deve trovare il suo naturale sviluppo, ovvero la relazione tra medico e paziente.

Purtroppo ancor oggi, non di rado, la comunicazione tra paziente e medico è fallace. Il rapporto con il medico è segnato da un paternalismo che svilisce consapevolezza e spirito critico della persona malata, proprio quando ne avrebbe maggior bisogno. Lo scambio di informazioni è scarso e insufficiente: il “medicalese” delle lettere di dimissioni e dei consensi informati che siamo chiamati a firmare prima di qualsiasi intervento, il più delle volte senza capirne il contenuto, dovrebbero divenire esempi di come non comunicare con il paziente.

Migliorare lo scambio d’informazione con il paziente sulla propria diagnosi, i possibili trattamenti, i rischi e i benefici ad essi connessi, permette di incrementare il livello di interazione medico-paziente, in modo tale che il medico non decida per il paziente, ma con il paziente, e apre la via alla possibilità di mobilitare ogni risorsa della persona malata nel percorso di cura.
Una comunicazione autentica, profonda, tra medico e paziente sviluppa e nutre la fiducia, alleato fondamentale di ogni terapia, aiuta a contenere l’ansia e contribuisce a sostenere in modo più razionale il percorso di cura, diminuendo l’incidenza di pratiche ad alto rischio di inappropriatezza.  Lo smodato ed eccessivo ricorso ad esami diagnostici ad esempio, molto spesso inutili quando non dannosi, chiama in causa un modello ancora dominante di comunicazione tra medico e paziente evidentemente inadeguato: carenze di corretta informazione, limitata capacità di ascolto, un difetto di fiducia che sembra investire entrambi, anche se certamente è il senso di smarrimento che investe l’elemento più  vulnerabile a dover richiamare soprattutto la nostra attenzione.

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